C’è un’immagine di me bambina che ritorna spesso alla mente: io, seduta alla scrivania, mentre leggo quelle prime nozioni di geologia che la maestra faceva imparare quasi a memoria. La tettonica a zolle, la creazione dei continenti, la formazione dei vulcani… con un piccolo sforzo potrei ricordare le parole esatte. Avevo solo dieci anni ma quella materia mi appassionava già: mi affascinava l’idea di qualcosa che dal centro della terra potesse venire in superficie, portare devastazione e paura ma anche forme nuove e bizzarri paesaggi.
Il primo vulcano che ho visto è stato l’Etna: da allora l’amore per quello scenario mi è rimasto dentro e si è manifestato con forza a Lanzarote. Ricordo come fosse ieri il primo trasferimento dall’aeroporto al borgo di Famara: distese di lava e cenere nera, il profilo di decine di vulcani, nessun albero. Un paesaggio completamente diverso da quello a cui siamo abituati in Italia. Pochi minuti ed ero già innamorata dell’isola.
Qui percepisco un’energia strana, che sfasa i miei soliti ritmi: mi piace credere che la causa siano gli innumerevoli crateri, che aprono un filo diretto tra la superficie terrestre e quello strato in cui la crosta del pianeta diventa magma. Ho perso il conto di quante volte ci sono tornata negli ultimi dieci anni, forse una ventina: sono incantata da queste distese di nulla, dalle coste dalle forme improbabili, dai luoghi così inospitali per l’uomo ma per me così attraenti da sentire il bisogno di fotografarli.
Mi colpisce il pensiero che questo paesaggio, come lo vedo e fotografo ora, all’improvviso potrebbe cambiare non per un intervento umano ma per l’esplosione di un vulcano. La cosa è spaventosa e piena di fascino allo stesso tempo.
Un’altra cosa meravigliosa di Lanzarote è la luce: cambia continuamente, in pochi minuti, e il cambiamento di luce cambia il paesaggio. Così sembra di guardare sempre un’isola diversa. Questo fa si che di Lanzarote è impossibile stancarsi.