La fotografia mi ha permesso di sperimentare di più ed è diventata uno sfogo per i pensieri, le idee e i concetti che volevo esprimere.
Mi definisco un nomade perché negli ultimi 3 anni ho viaggiato come fotografo e videografo freelance; alcuni dei luoghi in cui ho vissuto che hanno cambiato completamente la mia prospettiva sulla mia vita e sul mio lavoro sono Sri Lanka, Portogallo, Paesi Bassi, Canada, Marocco e Stati Uniti.
Come molti dicono, il disagio è il luogo del cambiamento e della crescita. Per questo mi considero un’anima in viaggio, una persona che ama saltare da un posto all’altro per vedere quale storia c’è da raccontare, di chi posso ritrarre o documentare la vita, e nel frattempo la mia visione può essere espressa senza limiti.
In effetti, questo è forse l’aspetto che preferisco della fotografia: non si sa mai quale sarà il risultato. Questa visione infinita significa anche che, poiché ogni persona è diversa, ogni luogo ha un’atmosfera o una storia diversa e ogni persona fotografata ha una prospettiva diversa di chi sono io come persona, il risultato dipende molto da quanto credono nel mio lavoro, dalle mie capacità e quindi dalla misura in cui mi lasciano sperimentare. Si creano connessioni e la creatività emerge dalle immagini finali, così come quando viaggio o lavoro ai miei progetti personali, emergono connessioni più profonde tra le persone che incontro, i luoghi che visito e gli eventi che vivo. In definitiva, è così che avviene la fotografia d’impatto: attraverso la vulnerabilità, le connessioni e, infine, la profondità.